politica | Quando è uscito l'album, era il '73, le canzoni di
Fabrizio De Andrè si riferivano ad un contesto sicuramente diverso da quello odierno, era il '68 il periodo cantato, anni di grande cambiamento per l'Italia.
Era l'Italia del boom economico e delle naturali rivendicazioni, essere parte di quel boom una naturale pretesa di chi attivamente contribuiva lavorando al sogno di una nazione, l'adeguamento a condizioni contrattuali migliori una legittima richiesta.
I diritti acquisiti in questi 40 anni vengono però oggi messi a dura prova, l'avvento del precariato agli inizi del ventunesimo secolo ha sicuramente dato una svolta in negativo alla deficitaria condizione del lavoro nel nostro Paese, la visione "furbesca" che contraddistingue l'italiano un motivo per temere il peggio.
Oggi siamo in piena recessione, la crisi divora ogni giorno aziende, vite, speranze.
La crisi è forse il modo comodo per dare la colpa a qualcosa, forse un pretesto per distogliere l'attenzione da decenni di politiche scellerate volte alla tutela di amicizie e clientele, le numerose inchieste della magistratura non possono che avvalorare questo teorema.
La Sicilia, ad esempio, ha sempre sofferto la piaga della disoccupazione, in qualsiasi momento la nostra terra è stata protagonista di forti flussi emigratori, più accentuati in alcuni periodi, segno però che la crisi c'entra poco con la stabile carenza di lavoro, e oggi la situazione non è certo migliorata.
Recenti studi parlano di una disoccupazione nella nostra regione al 20%, percentuale che aumenta ad oltre il 35% se si parla di giovani, conviene invertire la prospettiva se si parla di donne, circa il 22% ha un'occupazione.
A questi dati si può aggiungere un aumento di quasi il 38% delle ore di cassa integrazione e storie di gruppi in difficoltà come Fincantieri, Keller, Telespazio e di tante altre piccole e medie aziende, minacce di chiusura con possibili devastanti effetti sul fragile ecosistema lavorativo dell'isola.
E se questa è la situazione sulla disoccupazione, chi oggi ha un lavoro non può certo stare sereno.
La Storia di un impiegato di oggi (identificando nell'impiegato il lavoratore in generale) differenzia sopratutto per le prospettive opposte all'impiegato di De Andrè; se in quei tempi c'era la speranza di un mondo migliore, oggi la speranza è che le cose smettano di peggiorare.
Oltre alle riforme occorre un grande cambiamento da un punto di vista etico e morale; l'Italia è molto indietro nelle classifiche anti-corruzione stilate da istituti internazionali, una politica intenta a salvaguardare il proprio potere, controllando direttamente assunzioni e appalti un fatto più volte conclamato dalla magistratura.
Per risolvere il problema del lavoro in Sicilia occorre iniziare a considerare la possibilità che fare il bene comune porta vantaggi in ogni caso, rendere appetibile la nostra terra a potenziali investitori, (senza svenderla come in passato è avvenuto), garantendo le condizioni di legalità necessaria e magari lo sviluppo di una nostra mentalità imprenditoriale che creda nel fare piuttosto che nel "fottere".
Nelle migliaia di Storie di un impiegato, esistenti nel nostro paese, tanti italiani cercano di raggiungere lecitamente ciò che il primo articolo della Costituzione dovrebbe garantire, molti girano l'Italia per soddisfare il bisogno di lavoro e purtroppo molti costatano che corruzione, ricatti, evasione, sotterfugi, escamotage sono molto diffusi, che le leggi di mercato vincono spesso sulle leggi della natura, ma sopratutto sul rispetto e sulla dignità della persona.
Essere definito choosy o bamboccione da chi invece dovrebbe garantire quello che è di fatto un diritto a vivere lascia profonda amarezza, e soprattutto il segno di un solco profondo tra cittadini ed istituzioni.